Grandinata nel Ponente ligure. Il racconto ( e l’appello) della Cooperativa Turi Nirvane

E’ il 31 luglio, e la notte all’una è arrivata la grandine. In un turbine di vento con fulmini così ravvicinati da creare alcuni lunghi momenti di luce costante, sono cadute dal cielo palle di grandine grandi come chicchi d’uva, in alcuni casi di dimensioni pari a palle da tennis. Una furia inusuale in due successive ondate, mai vista dalla gente del paese, poi un’aria carica di elettricità, densa di ozono e di profumi così pungenti da lasciare prurito nelle narici.

Alla mattina si calcolano i danni. A Torri è stato pauroso ma per fortuna non ancora una distruzione totale. Una parte degli orti danneggiati, perdite negli uliveti importanti anche se difficili da stimare, probabilmente 30, 40, 50%, a seconda delle zone. A Calvo e Bevera la bufera è stata ancora più intensa, molti parabrezza delle auto sfondati e serre completamente distrutte.

A Varase ci sono le serre dell’Azienda Gianni Ballestra dove collaboriamo con la cooperativa SPES, ex serre floricole dove oggi si producono ortaggi a km 0. La SPES inserisce al lavoro persone con disabilità e borse lavoro, e i residenti dell’Ecovillaggio danno continuità alla produzione gestendo una parte della coltivazione. In questo momento le serre sono in piena produzione e servono due mense della Cooperativa SPES, la mensa di Torri e un gruppo whatsapp di più di 200 persone, distribuito tra Ventimiglia e Sanremo. Dalla notte del 31 luglio le serre sono inagibili, con i vetri in gran parte caduti e in parte ancora appesi e pericolanti. Solo dopo la rimozione totale sarà possibile entrare nuovamente e iniziare a rimuovere i vetri di copertura e fare pulizia. Forse una parte delle piante si salveranno, ma bisogna fare presto, le piante rimaste hanno bisogno di essere innaffiate e raccolte. Nel frattempo la SPES ha sospeso il progetto inclusione e borse lavoro.

La tempesta di questa notte è solo l’ultima di una lunga serie. 

La cooperativa Ture Nirvane dell’Ecovillaggio di Torri è vissuta per 20 anni di turismo ecologico e sociale. E’ una struttura turistica ma anche un laboratorio di sperimentazione e di analisi del tempo e della società in cui viviamo. Per anni hanno analizzato le crisi sistemiche che si vedevano all’orizzonte. Poi è arrivata l’emergenza Covid, la prima delle crisi, quella non prevista, e con essa la percezione che tutto diventasse instabile e incerto.

Col Covid lavorare è diventato difficile, ci sono stati lunghi mesi di chiusura e di cassa integrazione e a fine 2020 le entrate da casa per ferie e ristorante erano il 40% del 2019. E’ durante questi lunghi mesi di chiusura che i soci della cooperativa e i suoi volontari hanno stretto la relazione con la SPES, iniziando con un aiuto volontario, poi lo scambio merci, con l’intenzione di costruire un percorso forte e continuativo di agricoltura sociale da affiancare al turismo.

Nel frattempo a ottobre la tempesta Alex, di dimensioni eccezionali, ha reso inagibile la statale del Colle di Tenda che collega Ventimiglia a Cuneo, la porta della zona tra Piemonte e Liguria, una delle vie dirette da Torino al mare. La strada è franata in più di 25 punti, e all’altezza del tunnel la morfologia della montagna è cambiata, sostanzialmente l’intero pendio sul quale correva l’ultimo tratto di strada non c’è più. Ora si inizia a parlare di riapertura nel 2023. Ancora una volta una tempesta di acqua e vento che mai nessuno aveva conosciuto in queste zone.

E’ difficile spiegare a un non Ligure che non siamo collocati in un territorio interamente abitato e liberamente disponibile al transito: abbiamo delle strisce di territorio su cui si snodano le strade, e intorno ad esse sono state costruite le case. Abbiamo il mare davanti e avevamo un’unica strada a monte, la SS20 verso il Piemonte, oggi non più percorribile. Abbiamo a Est un’Aurelia non adatta a lunghe percorrenze e un’unica autostrada che dalla caduta del Ponte Morandi ha cantieri ininterrotti e code lunghissime da Masone a Ventimiglia. A Ovest poi c’è la Francia e non sempre le frontiere sono libere alla percorrenza in periodo di emergenza sanitaria. E poi ci sono i migranti, a seconda dell’anno più o meno numerosi, senza più un centro di accoglienza dove stare, aiutati solo dal volontariato civile. Migranti che bivaccano in stazione, sotto i ponti, sulle rive del Roya e sulle spiagge e allungano a noi bianchi europei ogni passaggio verso la Francia, perché ogni macchina e ogni treno possono essere controllati. Migranti che fanno sorgere in noi domande, dubbi e sgomento sull’inadeguatezza della risposta messa in atto dal nostro paese e dall’Europa stessa: oggi un fenomeno di alcune centinaia di migliaia di persone, che in futuro potenzialmente può diventare di milioni e milioni, una migrazioni di popoli, come a volte accade nella storia.

Covid, migranti, infrastrutture in crisi … il dialogo e lo scambio con i territori lontani è diventato difficile, ma questa notte è stato ferito il territorio stesso che ci ospita. Perché tutto è fragile in questi giorni: la valle, le strade, il tuo orto, la tua salute, il tuo lavoro, la tua umanità.

Viviamo in una terra di confine, in una fase della storia era il confine dell’Impero di Roma, oggi è il confine con la Francia. Chi vive sul confine ha la sensazione di percepire l’evolversi degli eventi prima degli altri, altre volte sembra che eventi stessi accadano a una potenza superiore, oppure che arrivino mescolati insieme, tutti sovrapposti in uno stesso istante.

Un confine non è solo un luogo dove si vive e dove si comunica col mondo esterno, è anche un luogo che va nutrito, difeso, sostenuto. 

Da molti anni ci sentiamo un presidio, “il nostro ecovillaggio, la nostra cooperativa”, così come i vicini e amici della Spes sono un presidio su un confine geografico, culturale, storico. Un presidio che non vuole mollare ma che a volte ha bisogno del sostegno esterno. Perché un presidio su un confine esterno va nutrito, difeso, sostenuto.

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