14 Dic 2015

Correva l’anno 1895. Le coop e le S.O.M.S. promuovono la Camera del Lavoro a Sampierdarena

Giovedì 17 dicembre alle ore 17 presso la Sala Mercato del Teatro Modena verrà ricordato l’anniversario costitutivo della nascita della Camera del Lavoro di Genova Sampierdarena. Previsti gli interventi di Mario Caprini (Centro di documentazione Logos), Ivano Bosco (segretario generale della Camera del lavoro di Genova) e Sebastiano Tringali, direttore scientifico dell’Associazione per la mutualità la cultura e la storia dell’economia sociale (Ames).
Di seguito un intervento proprio del direttore scientifico di Ames che ricostruisce la storia cominciata il 13 ottobre 1895.

 
Il 13 ottobre 1895 al Teatro Modena era inaugurata con una solenne cerimonia la Camera del lavoro di Sampierdarena, la prima della Liguria. Nata ufficialmente qualche mese prima, il 23 marzo, la nuova organizzazione sindacale precedeva quelle di Genova (1896) e Sestri Ponente (1899), mentre a Savona e Spezia e negli altri centri industriali della Valpolcevera il nuovo istituto non troverà concretezza prima di inizio Novecento. A farsi promotrici della Camera del lavoro sono in questa prima fase le associazioni operaie di mutuo soccorso e le cooperative nate al loro interno, protagoniste assolute della scena sociale cittadina dell’epoca, tanto da far attribuire al centro industriale ligure la menzione di capitale delle cooperative. Tra le sei associazioni promotrici spicca l’antica Società di mutuo soccorso Universale «Giuseppe Mazzini» (nata a metà ‘800 e tuttora attiva) e le due cooperative di produzione e consumo sorte nella sua orbita, come testimonia la Relazione morale e finanziaria pubblicata nel decennale, tra i rari documenti camerali sopravvissuti ai sequestri prefettizi nel corso del travagliato processo costitutivo.
L’atto fondativo si colloca infatti nel quadro di una dura repressione delle organizzazioni politiche e sociali esistenti, avviata a fine secolo dai governi di Francesco Crispi e Antonio Di Rudinì e culminata nella strage di Milano del maggio 1898, con i cannoni del generale Fiorenzo Bava Beccaris contro i dimostranti di piazza Duomo. È il colpo di coda della borghesia reazionaria, spaventata dai progressi dell’associazionismo operaio e dalla crescita del malcontento dei lavoratori agricoli e industriali: tensioni che sfociano nelle agitazioni contadine nella Bassa lombardo-emiliana, nelle campagne siciliane e nei primi scioperi nelle officine del triangolo industriale, duramente repressi dalle forze dell’ordine. In questo clima sociale, esacerbato dalla crisi economica e dall’aumento della disoccupazione, si innestano nuove idee e forme di lotta. Si guarda alla Francia, dove da alcuni anni sono attive le Bourses du travail come strumenti di collocamento e arbitrato tra lavoratori e imprenditori, e il loro esempio viene seguito nel 1891 a Milano e Piacenza grazie all’attivismo e le capacità organizzative di Osvaldo Gnocchi-Viani e Angiolo Cabrini. Il termine borsa, valutato troppo affine allo strumento finanziario principe del capitalismo, viene abbandonato a vantaggio di quello che richiama invece la consolidata associazione tra commercianti e industriali: collocando quindi idealmente il nuovo strumento di rappresentanza in prospettiva complementare nelle funzioni, ma antitetica nei fini a quella incarnata dalla Camera di commercio.
Sampierdarena rappresenta in questo ultimo scorcio di secolo il contesto ideale per la nascita di forme più evolute di organizzazione tra operai. La sua socialità fondata sul mutualismo e la cooperazione gode difatti di vasta notorietà in tutta la penisola, alimentata dall’attivismo di organizzatori come Valentino Armirotti, primo operaio mazziniano al parlamento italiano, e ora di Pietro Chiesa, astro nascente del partito socialista fondato a Genova nel 1892, che della Camera del lavoro di Sampierdarena è primo promotore e instancabile anima sino alla storica elezione a deputato. Il modello della prima cooperativa tra operai-consumatori, sorta a Rochdale nel 1844, è replicato a Sampierdarena e in pochi altri centri italiani: dal modesto panificio aperto nel 1864 nel popolare quartiere di San Martino era così decollata la matrice genovese della cooperativa ora leader della grande distribuzione regionale. La centralità sulla scena della auto-organizzazione la rende sede del congresso nazionale in cui nel 1893 la Lega nazionale delle cooperative assume il suo definitivo nome, alimentando l’epica di capitale della cooperazione.
Nel lustro precedente a questo 1895, il centro dell’hinterland genovese inizia a conoscere il reale decollo dell’industria metallurgica, con l’Ansaldo destinato in breve a dominare un tessuto già intensamente occupato da opifici meccanici, industrie alimentari e tessili, servizi tramviari e ferroviari, un vivace indotto artigianale che riduce lo spazio urbano e abitativo, già affollato dalle centinaia di minolli, camalli e carbunin che qui vivono e si recano a lavorare sulle banchine del porto di Genova. La cittadina industriale, con il suo panorama costellato di ciminiere e fatiscenti abitazioni, evoca ora scenari dickensiani e suggestivi paralleli con la Manchester descritta a metà secolo da Giuseppe Mazzini e da Friedrich Engels. Al pari della capitale britannica dell’industria tessile, per i contemporanei Sampierdarena è emblema del capitalismo industriale e nello stesso tempo luogo di definizione di pratiche originali o mediate di mutua condivisione e solidarietà reciproca, ideate per sovvenire ai bisogni del nascente proletariato di fabbrica e stemperare in parte le diseguaglianze e gli impatti della repentina industrializzazione.
Cinque anni dopo la sua nascita, subito soffocata nel 1896 dallo scioglimento prefettizio al pari delle altre associazioni sovversive del Regno, la ricostituzione della Camera del lavoro di Sampierdarena avviene dunque in una scena produttiva e sociale drasticamente mutata in favore della grande industria meccanica. Settore ad alta intensità di lavoro, ma connotato inizialmente da periodiche e gravose flessioni della domanda di manodopera indotte dalla natura prevalentemente statale delle grandi commesse della meccanica. La trasformazione del tessuto industriale avviene rapidamente, accompagnata dall’altrettanto repentino inurbamento di migliaia di lavoratori, in conseguenza del quale la scena sociale muta completamente: sarà così il protagonismo di un ceto sociale in via di definizione e una diversa prospettiva politica a ricostituire l’organizzazione sindacale di Sampierdarena. Sono elementi di chiara estrazione operaia, spesso immigrati, a ripercorrere la strada organizzativa: astigiano il verniciatore Pietro Chiesa, arsenalotto dello spezzino il primo segretario Carlo Massara, operaio umbro delle Ferriere di Terni Alibrando Giovannetti: tutti elementi formati nella tempesta repressiva di fine secolo e rafforzati nel numero e nelle ambizioni a seguito del vittorioso sciopero generale di Genova del dicembre 1900. Momento, questo, di snodo storico per l’intero movimento operaio italiano e per l’avvio di politiche governative orientate in senso sociale: il clamoroso blocco del porto di Genova a difesa della propria camera del lavoro determina la legittimazione dell’organizzazione sindacale tra i lavoratori, facendo inoltre conoscere a tutta la nazione la vitalità e la forza della nascente classe operaia ligure.
Protagoniste della ricostituzione della Camera del lavoro di Sampierdarena (1901) sono ora le leghe di miglioramento e resistenza sorte e maturate nel clima di agitazioni e conflittualità operaia di inizio secolo. Sono organizzazioni di mestiere, sorte rapidamente tra operai espulsi dal lavoro a seguito delle flessioni congiunturali, operatori dei servizi pubblici, lavoratori e lavoratrici delle industrie alimentari e tessili, portuali e marittimi, ferrovieri e tipografi. Nei primi anni oscilla tra i 3.500 e i 5.000 iscritti (organizzati in una trentina di associazioni di mestiere) su una forza lavoro urbana complessiva di 18.000 operai di ambo i sessi. Al momento della temporanea fusione nella Camera del lavoro di Genova Sampierdarena (1906) gli iscritti complessivi superano i venticinquemila.
Le leghe nascono e prosperano in un quadro di vivaci rivendicazioni, sia sul piano strettamente lavorativo sia su quello sociale, guadagnando progressivamente spazio di movimento e capacità attrattiva tra i nuovi protagonisti della scena operaia, sebbene il processo di separazione dall’alveo dell’associazionismo mutualistico e cooperativo non sia netto come avviene in altri centri industriali italiani. La labilità dei confini associazionistici è favorita dall’assiduo operato di figure-cerniera tra le varie organizzazioni operaie, quali Lodovico Calda e in maggior misura Chiesa, e dalla permanenza di un vivace tessuto artigianale che evita a Sampierdarena lo status di company town, dilatando le aspirazioni e il quadro rivendicativo dei lavoratori. Del travaso culturale dalle società di mutuo soccorso sono testimonianza le azioni sul territorio e in campo sociale previste dallo statuto camerale, come l’organizzazione di scuole serali per i lavoratori analfabeti, i servizi igienico-sanitari, le mense collettive, la biblioteca interna aperta alla cittadinanza ricca di quotidiani, periodici, manuali tecnici, storia e narrativa. Azioni di emancipazione culturale e miglioramento che valgono al sindacato la presenza nel Padiglione liberty di Sampierdarena all’Expo di Milano del 1906 e giustificano la piena adesione ai principi costitutivi della nascente Confederazione generale del lavoro.
La dialettica politica interna condiziona inevitabilmente per decenni l’azione di organizzazione e di rivendicazione, con momenti di marcata autonomia alternati a lunghi tratti di piena adesione alla linea confederale. Più che altrove, risalta la differente natura delle camere del lavoro rispetto alle organizzazioni verticali di categoria (le federazioni nazionali di mestiere), pressoché dominate dall’ideologia socialista tesa in questi anni all’affermazione della lotta di classe. La natura territoriale della camera del lavoro, unita alla missione di rispondere ai bisogni immediati di una classe lavoratrice priva di assistenza e coordinamento, spinge verso l’elaborazione di strumenti immediati (il collocamento per abbattere la lucrosa intermediazione, la redazione di statistiche e studi sul mercato del lavoro, il coordinamento delle richieste di miglioramento salariale), rendendosi permeabile alla pluralità di culture e alle diverse sensibilità politiche espresse da un territorio così ricco di socialità operaia e artigiana.
La Camera del lavoro di Sampierdarena, tuttavia, rimane solo per pochi anni nell’orbita confederale, prendendo le distanze dalle politiche di riforma sociale che permeano la centrale sindacale nazionale e la scena politica e organizzativa prevalente nel genovesato. Sampierdarena mantiene così nel corso degli anni una identità sindacale ben distinta dal capoluogo genovese, tornasole di una forza numerica e di una sostanziale omogeneità di classe derivata dal progressivo rafforzamento tra gli organizzati della componente ferroviaria e metallurgica. Con l’inasprimento della conflittualità operaia, si guarda da qui con maggiore attenzione alle teorie di azione diretta che informano le nuove strategie di lotta avanzate dal sindacalismo rivoluzionario. Fattori che contribuiscono sino a tempi recenti a spostarne a sinistra il baricentro politico e organizzativo e costituire, con le consorelle di Cornigliano, Rivarolo e della Sestri Ponente di Antonio Negro e Angelo Faggi, una delle punte avanzate dell’organizzazione del comparto metallurgico e termine di paragone e riferimento per l’intera scena nazionale.
Nel primo dopoguerra diviene la sede centrale del Sindacato nazionale metallurgici, aderente all’Unione sindacale italiana e antitetico alla Fiom di Bruno Buozzi. È il suo segretario Gaetano Barbareschi (in seguito deputato costituente e ministro) a ipotizzare, durante la stagione di autogestione degli impianti industriali della Valpolcevera, la loro trasformazione in cooperativa operaia. Molteplici infine i protagonisti delle stagioni di conflittualità del comparto industriale, delle epiche azioni di solidarietà nazionale e internazionale, della opposizione alla reazione e al terrorismo e in difesa delle istituzioni democratiche durante la seconda metà del secolo, sino alla progressiva perdita di centralità organizzativa a seguito del processo di deindustrializzazione e della mutata identità del contesto produttivo e sociale locale.

Sebastiano Tringali
direttore scientifico Ames

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