17 Giu 2014

Ministro Orlando ” Rafforzare la funzione rieducativa della pena “

Per impegni istituzionali il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, non ha potuto partecipare al convegno ” “Giù le sbarre, oltre il castigo. La via sperimentale per una restituzione sociale con le pene alternative”” promosso dalla Cooperativa Il Faggio insieme a Legacoop Liguria. Ma l’interesse al progetto il Ministro lo ha confermato con un dettagliato intervento inviato a tutti coloro che hanno partecipato al convegno. Di seguito il testo dell’intervento del Ministro.

 

Consentitemi in premessa di ringraziare gli organizzatori di questo incontro, incentrato sul ruolo delle pene alternative alla reclusione.

L’occasione è per me di particolare interesse, in quanto sin dal mio insediamento ho dovuto fronteggiare il tema dell’emergenza carceraria, che ho considerato un punto di partenza per ripensare il sistema delle pene nel complesso.

E’ significativo che questo incontro abbia luogo nell’anno in cui ricorre il 250° anniversario della prima edizione dell’opera di Cesare Beccaria  “Dei delitti e delle pene, opera che, insieme, a “Lo Spirito delle leggi” di Montesquieu, influenzò maggiormente la revisione del diritto penale ad opera dei sovrani “illuminati”.

Un aspetto, in particolare, del pensiero di Beccaria ritengo ancora di straordinaria attualità nel nostro Paese, vale a dire la riflessione sulla funzione del diritto penale, delle pene e la loro esecuzione.

La Costituzione Italiana prevede, sin dal 1948, la funzione rieducativa della pena.

E tuttavia il messaggio costituzionale contenuto al comma 3 dell’articolo 27 ha convissuto per oltre venticinque anni con la normativa fascista del regolamento degli istituti di prevenzione e pena del 1931.

Nel 1949, Pietro Calamandrei, rifacendosi al discorso di Turati del 1904 sulle carceri come “cimitero dei vivi”, scriveva: “Le carceri italiane, cimitero dei vivi: erano così cinquant’anni fa, sono così oggi, quasi immutate […] Il sistema penitenziario italiano anzi, sotto qualche aspetto, è peggiorato […] oggi nelle prigioni vi è una spaventosa crisi degli alloggi, che condanna a rimanere stivata in locali diminuiti di numero e ridotti spesso a nude mura, una popolazione sovrabbondante; …”

Ancora oggi, nonostante siano passati molti anni dallo scritto di Calamandrei, il nostro Paese è stato sottoposto, nella ormai nota sentenza pilota Torreggiani, ad un severo richiamo da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 3, causata dalla condizione di strutturale sovraffollamento delle nostre carceri.

L’ultimo decennio si è contraddistinto infatti per un aumento vertiginoso dei detenuti reclusi nei nostri istituti di pena.

Si tratta di una tendenza comune a tutti i sistemi penali del mondo, in molti Paesi iniziata negli anni ’80, che l’Italia ha conosciuto solo nel decennio successivo.

Sono molti gli studi che collegano l’aumento del tasso di detenzione dei maggiori Paesi del mondo al crollo del Welfare State, cioè ad un utilizzo delle politiche penali per affrontare problemi sociali. Un esempio su tutti è rappresentato dall’aumento del numero di condannati per reati connessi agli stupefacenti.

In Italia, tra il 1995 e il 2003, in soli 8 anni vi è stato un incremento del 25% delle condanne per droghe. Questo dato è stato ulteriormente aggravato dalla nuova normativa sugli stupefacenti introdotta nel 2005, che ha inasprito le pene e cassato la distinzione tra droghe leggere e pesanti, distinzione adesso ripristinata a seguito della nota pronuncia della Corte costituzionale di questo anno e del successivo intervento del Parlamento.

Risalgono a questo stesso periodo altre norme carcerogene” per il nostro sistema penale. Sempre nel 2005 fu varata la legge n. 251, intervenuta in maniera determinante sull’art. 99 del C.P., in tema di recidiva.

Solo tre anni prima, nel 2002, un altro intervento profondo aveva interessato il T.U. sull’immigrazione.

La c.d. “detenzione sociale” rappresenta un fenomeno globale che quasi ovunque ha contribuito a creare il fenomeno del “prison overcrowding” . Questo fenomeno è ben sintetizzato nel titolo di un libro di Loic Wacquant: Punire i poveri.

Alle criticità e precarietà sociali, molto spesso si sono date risposte penali.

Non è aumenta la criminalità, ma la criminalizzazione. Non è diminuita la sicurezza, ma è aumentata, anche grazie al contributo determinante dei mass-media, la percezione dell’insicurezza.

Le aree di criminalità rilevante sono rimaste sostanzialmente stabili, il sovraffollamento si è sviluppato a causa dell’aumento, per l’appunto, della c.d. “detenzione sociale”: immigrati, assuntori di stupefacenti, poveri, cioè coloro i quali, oggi, rappresentano in molti paesi occidentali i 2/3 dell’area di detenzione.

Dopo la sentenza Torreggiani molto è stato fatto, e la Corte europea ce ne ha dato atto.

Ma ritengo che  molto resta da fare, non solo per superare l’emergenza, ma per utilizzare tale occasione per rivedere nel suo complesso la politica penale e l’esecuzione della pena nel nostro ordinamento.

Oggi la nostra popolazione carceraria è scesa sotto quota 60.000. L’indice di sovraffollamento è passato dal 141% alla data della sentenza al 121%. Siamo riusciti a centrare l’obiettivo dello spazio minimo di 3 mq per detenuto. Le misure alternative alla detenzione che avevano conosciuto un crollo nello scorso decennio, vedono oggi una partecipazione di oltre 30.000 soggetti.

Già il precedente Governo aveva varato misure volte a ridurre il sovraffollamento carcerario (con il d.l. 78/2013 e con il d.l. 146/2013).

Dopo l’insediamento di questo Governo, il Parlamento ha approvato la delega per la depenalizzazione di reati di minore allarme sociale e per la implementazione della detenzione domiciliare, in una logica di ripensamento delle pene detentive, nonché misure per l’affidamento in prova ai servizi sociali con sospensione del processo, anche per gli adulti (la Probation, secondo un modello collaudato con successo per i minori).

Sempre in Parlamento è in discussione un disegno di legge di iniziativa parlamentare sulla riforma della custodia cautelare.

 

La sentenza Torreggiani deve, alla luce di questa analisi, costituire una straordinaria leva per costruire un nuovo approccio al tema della pena e della sua esecuzione. Ridurre l’area d’intervento del diritto penale così come inizieremo a fare con l’utilizzo della delega del Parlamento sulle depenalizzazioni, aumentare l’utilizzo delle misure alternative alla detenzione, ricondurre l’istituto della custodia cautelare nel suo alveo naturale di misura di “extrema ratio”, implementare e rafforzare la funzione rieducativa della pena, attraverso uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale, qual è il lavoro dei detenuti.

Ripensare, a 250 anni dal trattato di Beccaria, l’intero assetto delle sanzioni criminali, potenziando quelle non detentive e rivedendo in modo sistematico l’entità delle pene nell’ottica della funzione di rieducazione e prevenzione della recidiva.

Allo stato abbiamo un sistema sanzionatorio che costa moltissimo e che produce risultati pessimi: Un tasso di recidiva tra i più alti d’Europa. Credo che questa sia la questione centrale sulla quale dobbiamo concentrarci.

Anche se per paradosso volessimo tralasciare le motivazioni umanitarie, quelle che attengono al rispetto dei diritti fondamentali delle persone, siamo sicuri che in virtù di un populismo penale che trova anche nella crisi la sua alimentazione, possiamo permetterci di avere un sistema sanzionatorio che produce risultati tanto deludenti, utilizzando così tante risorse?

Io credo di no. Credo che il nostro Paese debba trovare la forza, sconfiggendo una cultura securitaria che ha dimostrato di non produrre più sicurezza, di affrontare questo tema ancorandolo ai principi della nostra Carta e con la giusta dose di pragmatismo.

Ed è con queste premesse che sin dal mio insediamento ho posto in essere una azione che va al di là del mero riconoscimento dello spazio minimo vitale ai detenuti, e che, attraverso, da un lato, misure per migliorare la qualità della vita dei detenuti, e dall’altro la implementazione degli istituti alternativi alla detenzione, dia piena ed effettiva attuazione alla funzione rieducativa della pena

.In questa prospettiva ho da pochi giorni costituito una apposita commissione di studio, presieduta dal prof. Palazzo, che avrà il compito di dare attuazione alla legge delega votata dal Parlamento per la depenalizzazione dei reati minori e la previsione della detenzione domiciliare in alternativa al carcere. La Commissione dovrà anche ripensare nel suo complesso il sistema delle pene, affinché la reclusione in carcere sia accompagnata da altre misure che salvaguardino le esigenze di sicurezza sociale con quella di una effettiva funzione rieducativa della pena.

Posso dire con ragionevole ottimismo che siamo usciti dall’emergenza carceraria; ma questo non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, uscire dall’emergenza è stato fondamentale per costruire una riflessione di fondo sulle ragioni che stanno alla base del fenomeno del sovraffollamento nel nostro Paese e sulla necessità di una nuova impostazione delle politiche penali.

Andrea Orlando

Ministro della Giustizia

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